Riflessioni di una terapeuta a mente libera sul senso della vita
Una mia paziente qualche giorno fa mi ha fatto una domanda che mi ha fatto riflettere.
Una di quelle domande che non esentano noi professionisti dal metterci in gioco personalmente con i nostri pazienti, nel nostro lavoro.
Era una domanda che lei rivolgeva a se stessa, ma mi ha chiamato in causa.
E come succede spesso con le domande importanti, ho continuato a farmela io stessa per qualche giorno.
Finchè non ho trovato una mia risposta, come non può che essere.
La domanda suonava più o meno così “ Che senso ha fare tanta fatica per essere felici, per amare se stessi, per ritagliarsi degli spazi e degli attimi in cui sentire di farcela, se poi la vita continua a metterti alla prova procurandoci dolore??”
Senza che la cercassi con intenzione consapevole, ad un certo punto la risposta è arrivata: il senso è ri-farcela. Quando ce la fai una volta, non è una volta per tutte: è solo l’inizio. Di un percorso, di una vita vissuta con consapevolezza, con responsabilità e con amore, innanzitutto per se stessi. Ma questo non cambia il fatto che la vita sia anche, se non soprattutto, dolore e fatica. Il libero arbitrio, questo grande dono e nostra suprema potenzialità, non ci rende in grado di evitare dolore e fatica, ci dà la possibilità di scegliere come viverli: subendoli, o facendo del nostro meglio per cercare e creare la nostra, personale, felicità.
Ri-farcela è innanzitutto riuscire, ogni volta che soffriamo, a credere che la felicità esiste, che ha un senso e soprattutto che è possibile. Questo ci rende in grado di non subire, ma di affrontare il dolore e la sofferenza, supportati dalla convinzione che siano solo un lato della medaglia.
Le due facce di una medaglia: non v’è luna senza l’altra. Sono necessarie.
La necessarietà della felicità: questa è l’essenza della mia risposta ed ho trovato illuminante e perfetto come la esprime Concita de Gregorio in “Mi sa che fuori è primavera”, dando voce al vissuto di una donna che ha subito uno dei dolori più grandi che si possano immaginare: la perdita delle due figlie gemelle per mano di un marito violento (un fatto di cronaca realmente accaduto qualche anno fa in Svizzera).
“Mi sono sentita tanto in colpa di essere di nuovo felice. Era come se tutti mi dicessero: come puoi dimenticare, come puoi lasciarti indietro quello che ti è successo, come puoi partire per una vacanza, bere un bicchiere di vino, amare un uomo, farti amare nel piacere, dormire dopo. Come puoi essere ancora viva, insomma, e avere voglia di stare ancora nel mondo. […] Ma io sono viva, il dolore da solo non uccide e io sono viva. Dunque devo vivere [….]
C’è bisogno di essere felici, per tenere testa a questo dolore inconcepibile.”
Dr.ssa Orietta Festa
Scrivi un commento